Lo abbiamo già detto la settimana scorsa che le nostre belle e dolci colline sono un’ottima soluzione a Km 0 per fare attività motoria in questo tempo di fase 2; la nostra rigogliosa vegetazione ristora non solo l’occhio ma anche l’anima. Fra l’altro è difficile immaginarsi qui un sovraffollamento, come potrebbe invece verificarsi nella zona mare della città dove saremmo richiamati dal canto seducente del nostro Adriatico, che ci è stato negato per due mesi, o dalla golosità di un buon gelato artigianale da asporto.

Ripartiamo per un nuovo percorso dalla Pieve di Santo Stefano di Candelara, dove ci siamo interrotti la scorsa settimana. La nostra meta finale di oggi è il villaggio termale di Carignano, con un itinerario di 10 km. Il percorso è adatto per essere fatto in bicicletta, ma naturalmente una persona allenata può farlo anche a piedi o di corsa; in alternativa, consigliamo di fare il primo tratto con l’automobile.

Dalla Pieve dirigetevi verso Rondello ed imboccate la strada Ferriera; percorretela tutta fino a Santa Maria dell’Arzilla. È una strada interessante, immersa nel verde, che dalla collina di Candelara porta alla pianura del torrente Arzilla. All’inizio della strada troverete l’intersezione con via Cava che prende il nome proprio dall’attività omonima. Sulla sinistra l’ex-villa Almerici, ora Berloni, di cui abbiamo parlato nel precedente itinerario (1). Al termine di via Ferriera girate a sinistra sulla strada provinciale n. 45; percorretela ancora per 4 km, quindi girate a sinistra (seguendo il percorso della vecchia strada) e troverete un borgo di case. Tra le tante c’è n’è una che merita la nostra attenzione, ma dovete essere molto attenti: percorsi 500 metri dallo spartitraffico, c’è un vicolo che riporta alla strada maestra; beh se alzate gli occhi, vedrete una casa parzialmente coperta dalla vegetazione, con alcuni scarabei sulla facciata. Ecco questa è la nostra meta. Si tratta del laboratorio dello scultore Giovanni Gentiletti, oggi trasformato in un piccolo museo dall’amore delle figlie e della moglie che sono sempre disponibili ad accogliere turisti ed appassionati d’arte (naturalmente anche questo è chiuso al pubblico causa pandemia). Se siete interessati ad una visita mandate una email all’indirizzo: g_ilaria@yahoo.it. Se potessimo varcare il cancello in ferro troveremmo un cortile dove da un lato c’è la casa (oggi trasformata interamente in spazio espositivo ed il cui restauro si è concluso da pochi mesi) e sul lato opposto c’è un piccolo edificio in muratura che era il vero e proprio laboratorio di Gentiletti; oggi è stato trasformato in aula video. Ma la cosa più bella è questo giardino dove, tra fiori e piante aromatiche, compaiono improvvisamente le belle sculture sbalzate, cesellate e le grandi composizioni dell’ultimo periodo che sono imponenti e mostrano grande fortezza. Insomma un piccolo cortile che ricorda l’hortus conclusus medievale, la cui bellezza sta proprio nella commistione tra la natura e le sculture frutto dell’ingegno di Giovanni Gentiletti. Prima di uscire guardiamo ancora la facciata principale della casa: dall’interno possiamo vedere tutti gli scarabei cesellati che la decorano.

Proseguiamo lungo la piccola strada in direzione della località di Maggiotti; oggi sono solo un gruppo di case disperse nella lussureggiante campagna fanese, ma una volta erano una piccola comunità. C’era il fabbro Caterbo e la sua fucina si affacciava all’interno di una grande aia; i suoi clienti erano tutti i contadini della zona. All’intersezione con la strada provinciale si riconosce per le forme architettoniche la presenza dell’ex-consorzio agrario, da alcuni anni abbandonato dopo la chiusura del negozio di prodotti agricoli. L’attività di granaio di cereali è invece stata sospesa da tanti anni. Queste grandi cattedrali nel deserto, o forse sarebbe meglio dire nella campagna, sono un simbolo di una civiltà, quella contadina, oggi scomparsa. E tra qualche anno le giovani generazioni, se non fosse per la scritta a rilievo, non sapranno più identificarli. Dinnanzi una piccola e diroccata casa in laterizio c’era il vecchio negozio di alimentari della zona, oggi trasferito qualche centinaio di metri più in là in un nuovo edificio, dove è stato trasferito anche il bar ed alimentari oggi dal nome esotico di Zanzibar. Ma noi attraversiamo la strada provinciale e ci interniamo in direzione di Carignano lungo la strada molino Maggiotti, che poi diventa Via Bevano, che si fa sempre più interessante e romantica, in quanto la campagna torna ad essere protagonista e l’asfalto sembra una ferita in un tappeto verde. La strada procede in discesa e ci porta a percorrere un ponte; prima del ponte ha sede lo storico mulino Ciavarini, oggi trasformato in un agriturismo atipico. La Ciavarini è una famiglia di mugnai dal XIX secolo; l’attuale impianto è del 1890 ed è un molino a palmenti (a pietra) in cui producono svariate farine: di mais, ceci, grano duro e tenero, castagne e fava. Nel loro sito internet, www.ciavarini.com, trovate tutte le informazioni sui loro prodotti ed attività.

Oltrepassato il ponte, sempre in direzione dell’antico paese di Carignano, che è una frazione del comune di Fano. Esso deve il suo nome alla nobile famiglia da Carignano; Carinus o Carìnius era il nome del proprietario terriero, di epoca romana: fundus carinianus.

Il cui del paese, oggi distrutto, dominava la sovrastante collina. La torre del castello, di proprietà della famiglia Rinalducci dal secolo XVII, sarebbe stata usata per l’avvistamento di navi barbaresche o turche, avversarie dello Stato Ecclesiastico e per segnalare atti ostili, e comunque a difesa della città di Fano. La torre sorge sopra il borgo a 180 m s.l.m., in località Castellaro; la sua presenza la si può datare almeno al 1348.

Ma la nostra meta è il borgo posto a valle, dove si trova il Fosso Bevano; lì aveva sede lo stabilimento termale, una struttura che nel XX. secolo era rinomata. Negli anni Novanta era stata rilanciata ed oggi versa in totale abbandono. Appena si arriva la prima struttura che si vede è l’ex-hotel ristorante Regina (della famiglia Benoffi), oggi completamente in degrado e recintato da una rete metallica da cantiere. Poco più avanti, sempre sulla destra, si staglia un altro edificio che è quello dell’ex-hotel “4 fonti” che era stato riconvertito in centro di cura termale nell’ultimo restauro con la riapertura del villaggio termale. Questi due edifici si caratterizzano per l’amplia ed alta volumetria e non si amalgamano all’interno del paesaggio agreste, quello di una dolce campagna coltivata che prevede la presenza solo di qualche casa agricola o villetta con forme più rispettose dell’ambiente.

Proseguiamo lungo la strada principale e sulla destra notiamo un parco con molti alberi ad alto fusto, il cui ingresso è caratterizzato da due edifici in muratura gemelli; all’interno trova posto una palazzina costruita nel 1922, sede storica delle terme. Le terme di Carignano erano specializzate per la cura e prevenzione delle disfunzioni epato-biliari e delle malattie dell’apparato digerente, cure inalatorie ed irrigazioni per la cura di malattie e di disturbi infiammatori delle vie respiratorie. Le acque termali sono di tipo solfureo, bicarbonato-alcalino-magnesiache, clorurate e salsobromoiodiche. Dal lato opposto della strada un grande parcheggio, oggi deserto, realizzato per accogliere gli ospiti. Su un lato vediamo l’ultimo fantasma di questo villaggio: si tratta della sede dello stabilimento che imbottigliava l’acqua Orianna, con le grandi cisterne ricoperte dal muschio e ancora le casse gialle in plastica per le bottiglie di vetro a rendere. Anche questo è un retaggio di una società scomparsa che oggi acquista acqua proveniente da posti distantissimi, confezionata solo nelle bottiglie di plastica.

Il nostro viaggio nella memoria termina qui, alle Terme di Carignano, che nel XX. secolo sono state protagoniste di quel mito della cura della persona. Negli ultimi vent’anni la politica ha spesso proposto un rilancio di questo territorio, con questa particolare potenzialità turistica, ma senza un riscontro fattivo ed oggi continua ad essere un villaggio abbandonato, ma con un grande fascino e sicuramente una storia che andrebbe raccontata.

Lorenzo Fattori
(curatore “Festival CandelarArte

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